Aprile è un mese importante in quanto ci ricorda la liberazione dal nazifascismo e dalla guerra, e questa memoria è particolarmente viva sulle montagne, rifugio per tanti partigiani e partigiane durante quegli anni di orrore.
Sentieri della Memoria
In Piemonte sono tantissimi i luoghi che portano le tracce di battaglie, eccidi, vittorie e sconfitte, torture e rastrellamenti. Anche in Val di Susa i luoghi della memoria sono valorizzati e tenuti vivi dalle varie sezioni dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e sono molti gli itinerari escursionistici contrassegnati come Sentieri della Resistenza, in quanto ripercorrono e attraversano luoghi e scontri nevralgici.
Il gruppo Sentieri Resistenti ha ideato un percorso di 14 tappe che collega tanti di questi luoghi di memoria, un itinerario di più di 200 km che attraversa l’alto Canavese e le valli di Lanzo, di Susa, del Sangone, del Chisone, del Germanasca e del Pellice ripercorrendo anche i sentieri della resistenza partigiana in Val di Susa.
Dal sito del progetto è possibile scaricare la traccia gpx e accedere alle schede informative di tutte le singole tappe, un bell’invito a percorrere e scoprire nuovi itinerari!
La Resistenza in Val di Susa
Per un anno e mezzo l’attività resistenziale fu intensissima, con decine di azioni e di scontri, con faticosissime traversate in Francia e ritorno per portare dispacci e materiali, con altissime perdite di vite umane e grandi sofferenze. Le deportazioni e i rastrellamenti colpirono duramente anche i civili, che in moltissime occasioni furono solidali con il movimento resistenziale aiutando come potevano con cibo, vestiti e nascondigli. Vi furono alle volte dei dissidi durante le requisizioni necessarie al sostentamento delle Brigate, in quanto la guerra aveva già provato duramente la popolazione e le scorte alimentari scarseggiavano.
In Val di Susa la Resistenza inizia ufficialmente l’otto dicembre 1943 con il Giuramento della Garda, ovvero il giorno in cui i combattenti della Valle si ritrovarono a Garda, una frazione di San Giorio, per dare vita a un comitato di coordinamento della lotta.
Le azioni e i sabotaggi erano però iniziati subito dopo l’armistizio dell’8 settembre, ad esempio a inizio ottobre venne sabotata la linea Torino-Modane e vennero attaccate le casermette di Borgone. Le rappresaglie non tardarono ad arrivare e il 27 novembre a Caprie, mentre stavano tornando da una riunione nel Vallone del Gravio, vennero intercettati e uccisi dalle truppe tedesche Felice Cima, Marcello Albertazzi e Camillo Altieri.
Alcuni colpi rimangono leggendari, come il sabotaggio del ponte dell’Arnodera, costruito su un profondo torrente poco a monte di Meana. La linea ferroviaria era già stata oggetto di numerose azioni, ma non si era riusciti a interrompere il transito se non per brevi periodi, mentre l’obiettivo era quello di chiudere in maniera completa e prolungata gli scambi con la Francia occupata e con la Germania, impedendo così l’approvvigionamento di armi e di soldati.
Il 29 dicembre 1943 un gruppo di partigiani capitanati dall’ingegnere Sergio Bellone, il “Dinamitardo”, e da Don Francesco Foglia, “Don Dinamite”, riuscirono nell’impresa di distruggere il ponte per una lunghezza di 60 metri, polverizzando il pilastro centrale, con un’azione che venne definita il più importante sabotaggio ferroviario nell’Europa occupata.
Anche il trasporto degli otto quintali di dinamite necessari a far brillare il ponte fu un’azione pericolosa e avvincente portata a termine da Vittorio Blandino che, insieme a un mulo che trainava il carro, riuscì a passare indenne attraverso numerosi posti di blocco e un paio di sparatorie.
Memorabile anche la Battaglia di Balmafol dell’8 luglio 1944, in cui i partigiani, molto inferiori numericamente, riuscirono a conquistare la vittoria facendo rotolare un gran numero di massi dal fianco della montagna, sbaragliando i numerosi fascisti che avevano attaccato la 42ª Brigata Walter Fontan per prendere il controllo della montagna di Bussoleno.
Appena prima della fine della guerra, il 20 aprile 1945, si consumò l’ennesimo massacro, quando vennero uccisi sedici partigiani della 114ª Brigata Garibaldi sulla montagna di Condove, nella conca di Vaccherezza.
È già da qualche anno che il 25 aprile organizzo un’escursione sui sentieri dell’eccidio, che l’ANPI e il Comune di Condove hanno provveduto a segnalare con indicazioni e cartellonistica, per trascorrere una giornata di memoria, canti, cammino e condivisione!
Sul Patria Indipendente è possibile leggere un resoconto puntuale degli eventi di quei giorni .
Una delle figure femminili più conosciute della resistenza condovese è senza dubbio Enrica Morbello Core, la partigiana “Fasulin”, che ha raccontato le sue memorie nel libro “Dalla parte giusta”, la cui vita ha ispirato un docufilm in sala a Condove e al Polo del ‘900 durante le celebrazioni del 25 Aprile (info e prenotazioni segreteriavalsusafilmfest@gmail.com).
L’eredità della Resistenza
La Resistenza non fu semplicemente prender le armi per liberare l’Italia, per tanti partigiani e partigiane unirsi alla lotta fu l’ultimo passo di un’antifascismo ventennale, pagato con carcere, morti e confino.
Si combatteva per una società più giusta, in cui uomini e donne avessero pari diritti, per abbattere le disuguaglianze sociali e le persecuzioni razziali.
Sentimenti che emergono forti dalle pagine di “Diario partigiano” di Ada Gobetti Marchesini: “Confusamente intuivo che incominciava un’altra battaglia: più lunga, più difficile, più estenuante, anche se meno cruenta.
Si trattava ora non più di combattere contro la prepotenza, la crudeltà e la violenza -facili da individuare e da odiare- ma contro interessi che avrebbero cercato subdolamente di risorgere. Contro abitudini che si sarebbero presto riaffermate, contro pregiudizi che non avrebbero voluto morire: tutte cose assai più vaghe, ingannevoli e sfuggenti.
E si trattava, inoltre, di combattere tra di noi e dentro noi stessi, non per distruggere soltanto, ma per chiarire, affermare, creare; per non abbandonarci alla comoda esaltazione di ideali per tanto tempo vagheggiati, per non accontentarci di parole e di frasi, ma rinnovarci tenendoci “vivi”.
Si trattava insomma di non lasciar che si spegnesse nell’aria morta d’una normalità solo apparentemente riconquistata, quella piccola fiamma d’unità solidale e fraterna che avevam visto nascere il 10 settembre e che per venti mesi ci aveva sostenuti e guidati.
Sapevo che saremmo stati in molti a combattere questa dura battaglia: gli amici, i compagni di ieri, sarebbero stati anche quelli di domani.
Ma sapevo anche che la lotta non sarebbe stato un unico sforzo, non avrebbe avuto più un unico, immutabile volto; ma si sarebbe frantumata in mille forme, in mille aspetti diversi; e ognuno avrebbe dovuto faticosamente, tormentosamente, attraverso diverse esperienze, assolvendo compiti diversi, umili o importanti, perseguir la propria luce e la propria via.
Tutto questo mi faceva paura. E a lungo in quella notte mi tormentai, chiedendomi se avrei saputo essere degna di questo avvenire, ricco di difficoltà e di promesse, che m’accingevo ad affrontare con trepidante umiltà.”
La Val di Susa, oggi come ieri, è un grande laboratorio a cielo aperto di nuovi mondi e nuove possibilità.