L’ambiente
Le praterie xerotermiche della Valle di Susa, alle falde del Rocciamelone, sono un ambiente strano. Quei prati di mezza montagna rivolti a mezzogiorno godono di un irraggiamento solare costante, sono sferzati dal caldo vento favonio e sono ricchi di rocce affioranti: una combinazione di elementi che fa sì che qui, sui contrafforti alpini, si generi un microclima praticamente mediterraneo.
La flora
Anche la flora che vi cresce è strana, riflesso della peculiarità del luogo. Sono l’unico posto in tutto il Piemonte dove alligna il ginepro coccolone, che normalmente ama le dune sabbiose in riva al Mediterraneo; vi crescono anche altre piante tipiche degli ambienti mediterranei, come lo scotano e la vescicaria, nonché numerose piante erbacee tra cui il particolarissimo fiordaliso ovoide. Relitti di epoche passate, rimasti isolati qui dal cambiamento del clima. Anche le orchidee non mancano. Delle più diverse specie: ben 29 ne hanno contate i botanici.
Un piccolo mondo a sé nel cuore delle Alpi, un habitat da salvaguardare.
Il progetto Life xero-grazing
Da salvaguardare anche secondo le direttive europee. Sono Zone Speciali di Conservazione che fan parte della Rete Natura 2000, un insieme di luoghi di importanza naturalistica su tutto il territorio europeo che comprende i siti individuati dalla Direttiva Habitat del ’92 e dalla Direttiva Uccelli del 2009. C’è anche un progetto europeo che insiste su questi territori. Si chiama Life Xero-grazing, ed è volto alla conservazione e al recupero di queste praterie, un tempo territorio intensamente colpito dalle attività umane agropastorali, tramite la gestione di un gregge di pecore.
La storia che affiora dalle rocce: petroglifi e pitture rupestri
Ma se le peculiarità naturalistiche della zona sono evidenziate, all’escursionista che ne percorre i sentieri, dai numerosi cartelli del progetto Xero-grazing, del tutto in sordina, nascoste, passano le testimonianze artistiche degli uomini che un tempo abitarono questi pendii. I muretti a secco che delimitano gli antichi campi sono ancora ben visibili, ma le rocce celano ancora arcani più profondi: meandri e spirali incisi nella pietra sono, assieme alle coppelle, probabilmente i segni più antichi. Forse, sostengono alcuni archeologi, risalenti addirittura al Neolitico, appartenenti alla Cultura dei Vasi a Bocca Quadra che ci ha lasciato le più antiche testimonianze archeologiche materiali (frammenti ceramici, pintadere…) della Valle in siti come quelli di San Valeriano, Vaie e La Maddalena. O forse risalgono all’età del bronzo? Le asce segnerebbero invece il passaggio all’età del ferro, e talvolta le si rinviene incise sopra i glifi più antichi. E ancora: antropomorfi, guerrieri dagli strani elmi, arcieri, cavalieri danzano danze dimenticate sulle pietre o dipinti sulle pareti di roccia ricoprendo un periodo che spazia dall’età del ferro al basso medioevo.
È una storia fatta di tracce esili quella che emerge da queste rocce. Alcuni petroglifi – i più antichi – ormai non sono che una carezza sui sassi, visibili solo a chi sa dove cercare e sa interrogare la pietra con l’aiuto della giusta luce radente. Non ci sono cartelli che ne indichino l’ubicazione; solo alcuni preziosi studi, che tuttavia tacciono sulla loro precisa posizione. Un tentativo di tutelare un patrimonio archeologico fragile e delicato? Punti di vista. Non basta non sapere dove sono per non danneggiarli; l’ignoranza, a volte, fa più danni dei vandali: su un petroglifo, antico e ormai quasi lisciato dal tempo, una mano inconsapevole ha già dipinto la tacca bianca di un sentiero…
Bibliositografia
- https://www.lifexerograzing.eu/it/
- Andrea Arcà (a c. di), La Spada sulla Roccia. Danze e duelli tra arte rupestre e tradizioni popolari della Valsusa, Valcenischia e delle valli del Moncenisio. Gruppo Ricerche Cultura Montana, Torino 2009.